domenica 11 dicembre 2011

Conosciamo un po' più da vicino
un volto e un nome
molto noti nel panorama ecclesiale italiano,
che chi di noi viene dall'esperienza formativa dell'AC
ben conosce e stima
per la sapienza e la limpidezza di mente, di cuore e di vita



Paola Bignardi, cremonese, è stata la prima donna presidente nazionale dell'Azione Cattolica dal 1998 al 2005 ed è attualmente, tra i suoi diversi incarichi, uno dei membri del Comitato per il Progetto culturale promosso dalla Chiesa Italiana.


Quale Chiesa hai “scoperto” durante la tua presidenza nazionale dell’Azione Cattolica?

La Chiesa è sempre un grande mistero che è al di là di noi; gli anni del mia presidenza casomai mi hanno aiutato a riconoscerne la grandezza, dentro le esperienze di generosità e di entusiasmo come in quelle fragili e povere. Pur in modo diverso, esse orientano a ciò che la Chiesa è veramente: la presenza dello Spirito del Risorto che continua a camminare accanto a noi e con noi.
Ho conosciuto le comunità cristiane vive, quelle nelle quali la Chiesa prende forma in un luogo e in un tempo concreto. Da questo punto di vista, ho accostato realtà che con grande generosità si interrogano sulle strade, sulle forme, sulle iniziative della missione e che tuttavia stentano a entrare in comunicazione con le persone di oggi, soprattutto con i giovani. Forse alle nostre comunità serve il coraggio di reinventarsi con i giovani, non accontentandosi di fare delle proposte ai giovani.


Dove ti sembra di vedere dei profeti e dove cogli profezie nella Chiesa di oggi?

Mi pare che questo sia tempo per una profezia che parla il linguaggio della vita quotidiana: la serietà nel fare il proprio dovere, la dedizione fedele alle persone senza far pesare nulla, la gratitudine per il molto che ciascuno di noi riceve, la gratuità nel fare ciò che serve, senza calcolo e senza riconoscimenti… le cose di ogni giorno, fatte con serenità e gioia. È una profezia sussurrata, in un tempo in cui sembra avere ragione e importanza chi grida di più. Una profezia gridata si perderebbe tra le mille voci, non sempre aggraziate, di oggi! Certo occorre un orecchio fine per cogliere un linguaggio sommesso. Ma oggi non abbiamo bisogno di profeti che si impongano, bensì che vivano con grande intensità ciò che sono: che facciano vedere qual è il profilo di un’umanità piena e realizzata, perché' raggiunta dall’incontro con il Signore e con il suo Vangelo.


Una domanda molto personale: come il Signore ti ha “fecondata” nella malattia?

Tutte le esperienze della nostre vita sono preziose e contribuiscono a dare forma alla nostra esistenza, anche quelle difficili. E quelle più dure sono quelle in cui sperimentiamo la nostra fragilità, il dolore, il limite della vita. La malattia è stata questo per me. Ma anche nella malattia il Signore mi ha fatto sperimentare di non essere sola e mi ha aiutato a capire che anche in quella esperienza lui c’era e mi voleva bene. Misteriosamente: perché' è mistero poter vivere come un’esperienza di amore ciò che è duro, che ci limita, ci pone di fronte alla fine. È l’esperienza del Signore Gesù, che ha conosciuto tutte le sofferenze dell’umanità passando attraverso l’ostilità, la passione e la morte. La malattia mi ha fatto sperimentare il valore del vivere come e con il Signore il mistero della sua umanità, e ha reso più stretta la mia comunione con Lui. Passando attraverso il sentiero stretto del dolore credo di aver imparato ad essere più essenziale, ad apprezzare di più la bellezza della vita che la sofferenza non offusca, a capire meglio le fatiche e il dolore degli altri.


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