San Massimiliano Kolbe (1894-1941)


L'odio non è forza creativa;
solo l'amore crea”


A che serve oggi scrivere il profilo, il ritratto di un tizio famoso? Siamo letteralmente sommersi da fonti più o meno autorevoli cui attingere per tirarne fuori pressoché tutto quello di cui abbiamo bisogno,  date, pensieri, curiosità.
Lo stesso vale per i santi, basta una sbirciatina su Internet per conoscere ogni particolare, per soddisfare ogni curiosità, soprattutto se il santo di cui si va in cerca porta un nome altisonante come quello di Massimiliano Kolbe.
Se abbiamo la pretesa di dire qualcosa di lui in questo piccolo spazio non è per aggiungere novità a quanto è già stato detto, tanto meno per offrire uno studio erudito e accademico. No, se scriviamo, è solo per ricordare più a chi scrive che a chi legge quanto grande sia la sfida che ci viene da un gigante della fede e dell’amore come quello che stiamo per raccontare.
Andiamogli incontro a Massimiliano, ingoiamo timore e saliva e cerchiamo il coraggio per ascoltare quello che la sua storia ha da dirci.
Questa storia, in particolare, e la gran parte degli spunti che la compongono proviene da un breve articolo scritto dal carmelitano Antonio Sicari; sulla rete, se volete, trovate tutto.

Massimiliano Kolbe nasce nel 1894 in un impronunciabile paesino della Polonia centrale, da una famiglia di piccoli artigiani. Giovanissimo, a soli 13 anni, entra nel seminario dei francescani conventuali e, come si usava all’epoca, a 16 anni è già in noviziato.
Terminata la scuola i suoi superiori riconoscendo in lui non piccole qualità e non ultime quelle intellettuali decidono di mandarlo a Roma a studiare filosofia e teologia.
Con la sua mente a “vocazione matematica” tra Aristotele e Kant trova il tempo per dedicarsi alla sua passione: la scienza. Arriva addirittura a progettare un aereo e, dicono gli esperti, avrebbe funzionato!
Abita in lui però una passione ben più grande, un fuoco lo accende e riempie di energie: come san Francesco, ha una concezione cavalleresca della vita, ma la sua dama attesa, amata e invocata non veste abiti di terra, è la Madonna. A lei si affida con cuore di figlio e le espressioni d’affetto che le rivolge sono quelle che solo una fede genuinamente popolare come quella polacca è capace di coniare. In Maria Massimiliano riconosce la donna e la madre amorosa che avrebbe portato ogni uomo alla fede nel suo figlio Gesù.

Così, con un gruppo di sognatori come Lui, in un piccolo convento dei frati a Roma fonda la Milizia dell’Immacolata. Il loro intento ha dell’incredibile: sono un pugno di giovanotti eppure l’associazione che fondano intende conquistare il mondo intero a Maria e, attraverso lei, a Cristo!

Nel frattempo i suoi studi proseguono: nel 1915 si laurea in filosofia nel 1919 in teologia.
Ma l’impegno universitario non lo distoglie dal contatto con la realtà. Durante una visita in Vaticano si imbatte in una processione di anticlericali-massoni intenti a celebrare Giordano Bruno con uno stendardo nero su cui Lucifero schiaccia S. Michele Arcangelo. Sentendo inneggiare a Satana e lanciare oltraggiose offese al papa, si convince che è arrivata l’ora di rompere gli indugi e di gettarsi anima e corpo nella missione.
Lo fa con risultati che hanno del sensazionale: nel 1927 inizia a costruire dal nulla un'intera città a circa 40 km da Varsavia. E’ Niepokalanow, la città dell'Immacolata.
In pochi anni sorge un complesso-editoria completo di redazione, biblioteca, zincografia con i gabinetti fotografici, tipografie. Dall’altra parte della… città, ecco la cappella, le abitazioni dei religiosi, il noviziato, la direzione generale, l'infermeria, i laboratori per i falegnami, per i calzolai, per i sarti, nonché le grandi rimesse per i muratori e addirittura il corpo dei pompieri.
Se vi pare poco, aggiungiamoci anche la piccola stazione ferroviaria con il binario di raccordo con quella pubblica e statale e i progetti di un aeroporto con quattro velivoli e di una stazione radio trasmittente.
Quello che stupisce è che se da un lato per fra Massimiliano  “non c'è sistema di comunicazione troppo veloce, per lui, il veicolo del missionario dovrebbe essere l'aereo ultimissimo modello”; d’altra parte le sue convinzioni sullo stile di vita dei frati sono inequivocabili. Quando nel 1930 arriva in Giappone per lanciare anche in terra nipponica il contagio missionario della Milizia,  a chi lo osserva si presenta così: “senza un soldo in tasca, questuando incessantemente col proverbiale saio rappezzato. Era un fenomeno di energia e di talento organizzativo. Intraprendeva ogni iniziativa letteralmente con le proprie mani. Mescolava la calce e portava i mattoni nel cantiere, lavorava alla cassa di composizione in tipografia. A Nagasaki intraprese l'edizione della versione locale de 'Il Cavaliere dell’Immacolata' senza sapere una parola di giapponese...”.

Ma gli anni ruggenti della missione stanno per concludersi in modo repentino e brutale: tornato in Polonia e arrestato una prima volta assieme ad alcuni suoi frati, il 17 febbraio 1941 viene prelevato da alcuni agenti tedeschi e questa volta la destinazione porta il nome della morte: Auschwitz. Qui il raggelante tentativo nazista di trasformare l’essere umano in numero e oblio si imprime a fuoco sulla pelle di Massimiliano: diventa il n. 16670.
Non c’è bisogno di molte parole: Auschwitz è il punto nero della storia, nessuna luce sembra poterlo attraversare né fuoriuscirne. Eppure è proprio qui che l’inopinabile avviene. E’ ormai piena estate quando un detenuto del blocco 14 riesce a fuggire. Massimiliano è stato assegnato a quel blocco solo da pochi giorni. Per tre ore tutti i blocchi vengono tenuti sull'attenti. Alle 9, per la misera cena, le file vengono rotte. Non così il blocco 14, costretto all’immobilità mentre il cibo viene versato in un canale.
Il giorno dopo, il blocco resta tutto il giorno allineato sulla piazza: distrutti dalla fame, dal caldo, dall'immobilità, dall'attesa terribile. Quando gli altri blocchi tornano dal lavoro viene decisa la decimazione: per un prigioniero fuggito dieci saranno condannati a morte nel bunker della fame. Un “prescelto” al pensiero della moglie e dei figli si mette a urlare il suo terrore. E’ allora che padre Massimiliano esce dalla fila, si muove incontro a Fritsch, il Lagerfuehrer, capo del campo. Offre la sua vita al posto di quell'uomo che nemmeno conosce. E lo scambio, inspiegabilmente, viene accettato. “Il miracolo, per intercessione di P. Kolbe, Dio lo compie in quell'istante”.
Quanto accade in seguito non è la cronaca di una morte in un lager nazista, ma la narrazione gloriosa di una vita donata, di un martirio d’amore.
“Da quel giorno, da quella accettazione, il campo possedette un luogo sacro. Nel blocco della morte i condannati vennero gettati nudi, al buio, in attesa di morire per fame. Non venne dato loro più nulla, nemmeno una goccia d'acqua. La lunga agonia era scandita dalle preghiere e dagli inni sacri che P. Kolbe recitava ad alta voce. E dalle celle vicine gli altri condannati gli rispondevano”.
Massimiliano morirà finito da un’iniezione di acido fenico proprio il 14 agosto, la vigilia di una delle feste mariane da lui più amate: l'Assunta.

Tra le molte cose dette e scritte al riguardo di padre Massimiliano, ci piace sottolinearne una: egli fu un vero frate francescano. Nella sua indomita tensione missionaria mai perse di vista l’essenziale: “l'attività più importante è in pieno svolgimento, vale a dire la preghiera... la più grande potenza dell'universo, capace di trasformare noi e di cambiare la faccia del mondo... L'attività esterna è buona, ma, ovviamente, è di secondaria importanza... Solo attraverso la preghiera è possibile raggiungere l'ideale”.
Ma ciò che lega il cuore di Massimiliano a quello di Francesco, e di entrambi al cuore di Cristo, è qualcosa se possibile di ancora più profondo: l’amore all’amore. E’ davvero l’amore la cifra dell’esistenza di Massimiliano Kolbe, amore per ogni uomo, amore per Maria, amore per il Signore.
“L'odio non è forza creativa; solo l'amore crea... Queste sofferenze non ci spezzeranno, ma ci aiuteranno a diventare sempre più forti. Sono necessarie, insieme ai sacrifici degli altri, perché chi verrà dopo di noi possa essere felice”. In queste parole, san Massimiliano.