solo
l'amore crea”
A che serve oggi scrivere il profilo, il ritratto di un
tizio famoso? Siamo letteralmente sommersi da fonti più o meno autorevoli cui
attingere per tirarne fuori pressoché tutto quello di cui abbiamo bisogno, date, pensieri, curiosità.
Lo stesso vale per i santi, basta una sbirciatina su
Internet per conoscere ogni particolare, per soddisfare ogni curiosità,
soprattutto se il santo di cui si va in cerca porta un nome altisonante come
quello di Massimiliano Kolbe.
Se abbiamo la pretesa di dire qualcosa di lui in questo
piccolo spazio non è per aggiungere novità a quanto è già stato detto, tanto
meno per offrire uno studio erudito e accademico. No, se scriviamo, è solo per
ricordare più a chi scrive che a chi legge quanto grande sia la sfida che ci
viene da un gigante della fede e dell’amore come quello che stiamo per
raccontare.
Andiamogli incontro a Massimiliano, ingoiamo timore e saliva
e cerchiamo il coraggio per ascoltare quello che la sua storia ha da dirci.
Questa storia, in particolare, e la gran parte degli spunti
che la compongono proviene da un breve articolo scritto dal carmelitano Antonio
Sicari; sulla rete, se volete, trovate tutto.
Massimiliano Kolbe nasce nel 1894 in un impronunciabile
paesino della Polonia centrale, da una famiglia di piccoli artigiani.
Giovanissimo, a soli 13 anni, entra nel seminario dei francescani conventuali
e, come si usava all’epoca, a 16 anni è già in noviziato.
Terminata la scuola i suoi superiori riconoscendo in lui non
piccole qualità e non ultime quelle intellettuali decidono di mandarlo a Roma a
studiare filosofia e teologia.
Con la sua mente a “vocazione matematica” tra Aristotele e
Kant trova il tempo per dedicarsi alla sua passione: la scienza. Arriva
addirittura a progettare un aereo e, dicono gli esperti, avrebbe funzionato!
Abita in lui però una passione ben più grande, un fuoco lo
accende e riempie di energie: come san Francesco, ha una concezione
cavalleresca della vita, ma la sua dama attesa, amata e invocata non veste
abiti di terra, è la Madonna. A lei si affida con cuore di figlio e le
espressioni d’affetto che le rivolge sono quelle che solo una fede genuinamente
popolare come quella polacca è capace di coniare. In Maria Massimiliano
riconosce la donna e la madre amorosa che avrebbe portato ogni uomo alla fede
nel suo figlio Gesù.
Così, con un gruppo di sognatori come Lui, in un piccolo
convento dei frati a Roma fonda la Milizia dell’Immacolata. Il loro intento ha
dell’incredibile: sono un pugno di giovanotti eppure l’associazione che fondano
intende conquistare il mondo intero a Maria e, attraverso lei, a Cristo!
Nel frattempo i suoi studi proseguono: nel 1915 si laurea in
filosofia nel 1919 in teologia.
Ma l’impegno universitario non lo distoglie dal contatto con
la realtà. Durante una visita in Vaticano si imbatte in una processione di
anticlericali-massoni intenti a celebrare Giordano Bruno con uno stendardo nero
su cui Lucifero schiaccia S. Michele Arcangelo. Sentendo inneggiare a Satana e
lanciare oltraggiose offese al papa, si convince che è arrivata l’ora di
rompere gli indugi e di gettarsi anima e corpo nella missione.
Lo fa con risultati che hanno del sensazionale: nel 1927
inizia a costruire dal nulla un'intera città a circa 40 km da Varsavia. E’
Niepokalanow, la città dell'Immacolata.
In pochi anni sorge un complesso-editoria completo di
redazione, biblioteca, zincografia con i gabinetti fotografici, tipografie.
Dall’altra parte della… città, ecco la cappella, le abitazioni dei religiosi,
il noviziato, la direzione generale, l'infermeria, i laboratori per i
falegnami, per i calzolai, per i sarti, nonché le grandi rimesse per i muratori
e addirittura il corpo dei pompieri.
Se vi pare poco, aggiungiamoci anche la piccola stazione
ferroviaria con il binario di raccordo con quella pubblica e statale e i
progetti di un aeroporto con quattro velivoli e di una stazione radio
trasmittente.
Quello che stupisce è che se da un lato per fra
Massimiliano “non c'è sistema di
comunicazione troppo veloce, per lui, il veicolo del missionario dovrebbe
essere l'aereo ultimissimo modello”; d’altra parte le sue convinzioni sullo
stile di vita dei frati sono inequivocabili. Quando nel 1930 arriva in Giappone
per lanciare anche in terra nipponica il contagio missionario della Milizia, a chi lo osserva si presenta così: “senza un
soldo in tasca, questuando incessantemente col proverbiale saio rappezzato. Era
un fenomeno di energia e di talento organizzativo. Intraprendeva ogni
iniziativa letteralmente con le proprie mani. Mescolava la calce e portava i mattoni
nel cantiere, lavorava alla cassa di composizione in tipografia. A Nagasaki
intraprese l'edizione della versione locale de 'Il Cavaliere dell’Immacolata'
senza sapere una parola di giapponese...”.
Ma gli anni ruggenti della missione stanno per concludersi
in modo repentino e brutale: tornato in Polonia e arrestato una prima volta
assieme ad alcuni suoi frati, il 17 febbraio 1941 viene prelevato da alcuni
agenti tedeschi e questa volta la destinazione porta il nome della morte:
Auschwitz. Qui il raggelante tentativo nazista di trasformare l’essere umano in
numero e oblio si imprime a fuoco sulla pelle di Massimiliano: diventa il n.
16670.
Non c’è bisogno di molte parole: Auschwitz è il punto nero
della storia, nessuna luce sembra poterlo attraversare né fuoriuscirne. Eppure
è proprio qui che l’inopinabile avviene. E’ ormai piena estate quando un
detenuto del blocco 14 riesce a fuggire. Massimiliano è stato assegnato a quel
blocco solo da pochi giorni. Per tre ore tutti i blocchi vengono tenuti sull'attenti.
Alle 9, per la misera cena, le file vengono rotte. Non così il blocco 14,
costretto all’immobilità mentre il cibo viene versato in un canale.
Il giorno dopo, il blocco resta tutto il giorno allineato
sulla piazza: distrutti dalla fame, dal caldo, dall'immobilità, dall'attesa
terribile. Quando gli altri blocchi tornano dal lavoro viene decisa la
decimazione: per un prigioniero fuggito dieci saranno condannati a morte nel
bunker della fame. Un “prescelto” al pensiero della moglie e dei figli si mette
a urlare il suo terrore. E’ allora che padre Massimiliano esce dalla fila, si
muove incontro a Fritsch, il Lagerfuehrer, capo del campo. Offre la sua vita al
posto di quell'uomo che nemmeno conosce. E lo scambio, inspiegabilmente, viene
accettato. “Il miracolo, per intercessione di P. Kolbe, Dio lo compie in
quell'istante”.
Quanto accade in seguito non è la cronaca di una morte in un
lager nazista, ma la narrazione gloriosa di una vita donata, di un martirio
d’amore.
“Da quel giorno, da quella accettazione, il campo possedette
un luogo sacro. Nel blocco della morte i condannati vennero gettati nudi, al
buio, in attesa di morire per fame. Non venne dato loro più nulla, nemmeno una
goccia d'acqua. La lunga agonia era scandita dalle preghiere e dagli inni sacri
che P. Kolbe recitava ad alta voce. E dalle celle vicine gli altri condannati
gli rispondevano”.
Massimiliano morirà finito da un’iniezione di acido fenico
proprio il 14 agosto, la vigilia di una delle feste mariane da lui più amate:
l'Assunta.
Tra le molte cose dette e scritte al riguardo di padre
Massimiliano, ci piace sottolinearne una: egli fu un vero frate francescano.
Nella sua indomita tensione missionaria mai perse di vista l’essenziale:
“l'attività più importante è in pieno svolgimento, vale a dire la preghiera...
la più grande potenza dell'universo, capace di trasformare noi e di cambiare la
faccia del mondo... L'attività esterna è buona, ma, ovviamente, è di secondaria
importanza... Solo attraverso la preghiera è possibile raggiungere l'ideale”.
Ma ciò che lega il cuore di Massimiliano a quello di
Francesco, e di entrambi al cuore di Cristo, è qualcosa se possibile di ancora
più profondo: l’amore all’amore. E’ davvero l’amore la cifra dell’esistenza di
Massimiliano Kolbe, amore per ogni uomo, amore per Maria, amore per il Signore.
“L'odio non è forza creativa; solo l'amore crea... Queste
sofferenze non ci spezzeranno, ma ci aiuteranno a diventare sempre più forti.
Sono necessarie, insieme ai sacrifici degli altri, perché chi verrà dopo di noi
possa essere felice”. In queste parole, san Massimiliano.