venerdì 5 ottobre 2012


Ventisettesima domenica
del Tempo Ordinario
Mc 10,2-16



Il saluto di Gioacchino e Anna - Giotto

I farisei, non sono persone malvagie. Forse solo stanche. Quando si rivolgono a Gesù, chiedono se la legge, che Mosè aveva dato loro in nome di Dio, fosse sufficiente o meno ad essere buoni ebrei. Forse pensavano bastasse essere “a posto”, amare, ma in un modo che non li scomodasse troppo.

Questo vangelo può essere letto come il richiamo ad una relazione che ecceda la misura del dovuto e del giusto, che corrisponde alla vera vocazione dell'uomo: amare qualcuno. Le parole di Gesù mostrano la fiducia nella capacità dell'uomo di una donazione che è totale, per sempre.
Davvero si può confrontare questo amore, che è ad un tempo una promessa e una richiesta, con le possibilità di ogni persona che quotidianamente affronta la stanchezza, la fatica, l'insoddisfazione?
In altre parole, si può amare cosi?

Amare è una scelta e un dono. 

Parlando ai farisei, Gesù ricorda che la scelta, in questo caso del matrimonio, affonda le sue radici in un dono che Dio ha fatto all'uomo di un aiuto che gli corrispondesse. Dio dona all'uomo una moglie che amasse e dalla quale fosse amato. Come è possibile rispondere a questo dono in una misura senza misura?

L'unica possibilità è che amare non sia la conquista vittoriosa di un momento quanto piuttosto iniziare un percorso, che chiede tempo, mai del tutto terminato, che ha la forma di una circolarità aperta: più mi sento amato, più desidero donarmi a qualcuno. L'amore spinge ad amare. 

E questo movimento, che è vita, deve essere qualcosa di veramente bello, del quale non si possa più fare a meno. Risuonano chiare le parole di Charles de Foucauld:

Ed è per me un'esigenza d'amore il donarmi,il rimettermi nelle tue mani senza misura, con una confidenza infinita, poiché tu sei il Padre mio.

Signore, dona vita a quelli che non l'hanno. Dona agli altri coraggio e forza per continuare a camminare.

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